lunedì 7 maggio 2007

Follia, la rabbia del dolore (S)

Io sono la tua paura dolce bambina
io sono il tuo dolore
cullato dall'occhio del padrone
della mano che ti esplora
lavato nel corpo dal primo sangue
ma impresso nel ricordo per l'eterno

Io sono il tuo tramonto
giovane donna
rinchiuso fra le sbarre perverse
di una volontà coltivata dal rimorso

Svelami piano dove ti celi
piegata in quale angusto inferno
Mostrami
in quale oceano annegasti le tue lacrime
e per quale dio soffocasti il tuo respiro

Racconta se fu la bocca che ti amava
ad accendere la tua follia
mentre la mano della memoria
reclamando il suo stesso pianto
te ne offriva la via

La dolce menzogna (S)

Un urlo rabbioso rompe la notte.
Un corpo amorfo si contorce in scabrose pose, scorre acido nelle sue vene.
E' ripugnante, genera odio, riempe l'aria di fetori infernali.
Insinua, malevolo, parole ammalianti negli animi puri; odora la paura.
Una bimba dagli occhi di cristallo dorme supina sul Suo giaciglio.
Il Suo artiglio fende l'aria e si posa sulla sua pelle di luna. Un lamento armonioso accarezza il sorriso dell'Essere, gocce tenere di sangue corrono lungo curve di sogni inviolabili, ossa disegnate fremono di carne sotto tessuti di pelli morte.

Un urlo, che la natura rifiutò di alimentare, ruppe nella notte.
Zittì i silenzi di chi ancora non ebbe a parlare, agitò i sogni di chi nel sonno cercava la morte, incendiò le ali fameliche di chi un giorno avrebbe volato.
E sul sentiero dove le pietre hanno corpi e orecchie per sentire, un corvo sorvola sovrano. La natura è morta, pare schernire col suo gracchiare; l'uomo ha sentenziato, non riconosce padroni; anche i padroni sentenziano, non riconoscono uomini. E la menzogna propaga la sua storia attraverso gli istanti del tempo, battezza gli eventi e i popoli con parola mai pronunciata. Percuote l'udito di chi non vuol sentire parole mai nate, scioglie gli incanti delle bellezze e dell'amore e dona a ciascuno l'antitesi di ciò che mai sarà, di ciò che è per essere, ma che mai sarà.

L'urlo dell'uomo è sopito sotto inverni di nevi, piogge e tempeste e le primavere, con le loro aurore, non riscatteranno l'anima del primo Caino, venditore del proprio dolore, carnefice della sua propria essenza.

giovedì 3 maggio 2007

Starci (S)

Incatenato al pascoscenico con la mia maschera di uomo, vivo il tormento della ragione, di cui le pietre non ne partecipano l'inquietudine.
Il mio nome è la penna del poeta, un nome che non ho mai conosciuto, che ho creduto di avere perso e che forse ho usurpato.
Ma qualcosa vive e fermenta dentro di me, accompagna la mia insonnia e mi accarezza negli attimi in cui tutto è niente e il tempo la fa da padrone.
Le mie lacrime son acqua e i miei sospiri aria, ma la mia irrequietezza non ha forma. E' pura, viva, è essenza. E' soffocata dal mondo, soffocata da me stesso; gli interrogativi decadono al nascere e le risposte assolvono ad altro.
Io non vedo uomo, non vedo sorrisi, vedo solo catene, vedo solo solitudine intorno ad ognuno. Ognuno muore solo, ognuno nasce solo.

Ognuno vive solo, naufrago nel mezzo d'una tempesta; puoi nuotare e stancarti per poi affondare negli abissi; o puoi star fermo ed aspettare, e il risultato sarà lo stesso. Non c'è scelta.
Dunque viviamo di autoinganno, che a volte percepiamo come trappola ed a volte come scudo.
Mio malgrado son qui e ci sto.