giovedì 22 gennaio 2009

Countdown (S)


Se soltanto ogni sera prima di chiudere il capitolo di una monotona giornata non spalancassi il recinto dove pascolano i pensieri vaganti, se soltanto tutti i telefoni del mondo fossero ammutoliti da un silenzio capace di squarciare il velo di solitudine che avvolge gelidi capi chini, se soltanto il sole bruciasse la mia pelle e non soltanto la schernisse, se soltanto lacrime sgorganti da occhi distesi un giorno solcassero un sorriso aperto sul mio viso, se soltanto le risate non obbedissero ai comandi ma eruttassero come lava cocente dalla bocca di un vulcano, se soltanto le mie dita subissero la possessione della parola, se soltanto il mio cuore accelerrasse i battiti al cospetto della virtú umana, se soltanto sangue caldo ravvivasse un corpo che ormai é cadavere, se soltanto riuscissi a rompere le catene della convenzione,
se soltanto il mio riflesso non fosse solo immagine, le mia parole solo rumori, le mie lacrime acqua salata e i miei sogni solo interruzioni, se soltanto la mia vita non fosse una parentesi in una interrogativa insolubile, se soltanto le mie occhiate fossero sguardi e non fughe da vicoli ciechi, se soltanto abiti e contorni che veloci affollano gli spazi non mi apparissero come rettili avidi di calore, se soltanto la angustia fosse il preludio alla gioia...


...allora e solo allora, sopprimerei gli ergastoli con cui é segnata la mia esistenza.

domenica 18 gennaio 2009

Routine (S)




Una pagina virtuale bianca e un cursore intermittente che sembra segare il tuo pensiero; una tazza di latte caldo alla portata della tua mano destra. E pensieri, sensazioni e paure che nascono nella speranza di prender la forma delle parole. Una insoppribile necessitá di riallacciarti a un percorso autentico abbandonato da tempo e una mesta sensazione di smarrimento.


Una pausa. Un altro sorso di latte caldo che intorpidisce il cuore. Riprendo.


Il calore sembra evaporato assieme a parole mie che ormai non mi appartengono. L'attesa ha ucciso la mia essenza. Lo straniero ha ripreso a bussare nella carcassa del mio addome; Reclama aria, é ormai intorpidito. Sterile, como casse di un elettrodomestico lasciate ad imputridirsi a lato di una pattumiera: senza un destino, senza una casa. Nato per tutto ma utile a niente. Contenitore di molecole, sede di reazioni chimico-fisiche. Bocca che reclama cibo e denti che masticano; occhi che registrano unitá di spazio e dita operose che scorrono pagine como fossero protesi meccaniche. Lacrime che sgorgano come getti d'acqua insaponata che lucidano un palabrezza e gambe che ipnotiche come la lancia di un pendolo, calpestano tapis rulant d'asfalto. Un accumulo asfissiante di ripetizioni, un sistema da resettare e riavviare per poi ingorgorlarlo nuovamente con banali deja vú. La mia ombra definisce i contorni del mio abbandono.
Non seguire il cammino, segui il ritmo che lo marca.

mercoledì 24 ottobre 2007

Il vero colore dell'odio (S)


Giuro lo vidi un sorriso.

Eppure una stagione ha segnato
il cuore di un uomo probo e cattolico esperto
che nel peregrinare notturno
sottrae a vento e pioggia
l'oggetto di derisione di un'incauta tempesta
il cadavere martoriato di una giovane
una rosa senza spine brutalmente sradicata
dal lussureggiante giardino dell'innocenza

Le mani di sangue imbrattate invano
allo stolto uomo col distintivo in mano
suonarono nuove e non diedero sazio
rendendo me artefice del cruento strazio

La calda stagione mi vide invecchiare
solchi di lacrime e rabbia a sgolare

ma nel lieto giorno in cui tutto cessa
il mio cuore riceve un sussulto
non per la tensione artificiale che il cervello pressa
ma quel sorriso che a Dio compiace
il trionfo di una cieca madre
che nell'odio inventa una sedicente pace

Solo adesso che vago sui tetti
osservo i cuori di chi omaggia Dio

ma io spirito appagato
scorgo il principio di quel sorriso
in ogni Amen e in ogni Sia Dio lodato

Senza più pena e senza più intento
mi poso sulle pendici perfette di un arido eterno
e serafico
sospinto dal tiepido richiamo
accompagno i miei amici rapaci a nutrirsi
della stessa carogna che mi tolse la vita
e la memoria dei miei cari
inquinata
lacerò con le sue sozze dita

Apri gli occhi (S)

Destati dalla stasi notturna
soggioga il giaciglio di sogni auspicati
e tendi lo sguardo verso quel buio ammaliante
nero intenso
che il sole stesso teme oltraggiare

Ne avvertirai la presenza
come un tiepido affannoso respiro
che brama lacrime di sangue
viscide sacralità avide senso
rapprese in lutti atavici
imploranti il florido sussurro di Demetra

Osserverai nel silenzio universale
redenti dal cuore di piombo
saccenti ostentano corone dall'alloro
germogliato con pane e sudore
di padri timorosi e bieche madri
Essi non hanno orecchie per le trombe
né occhi per le fiere
e non vengono compianti come tali
rei di se stessi
ma annoverati per i posteri
infimi fra i dannati

Insorgerai contro un Dio che non è
rifuggerai presso ciò che Dio era
ma né gli occhi amorevoli della Madre
né cibo caldo e visi amici
accompagneranno il profilo sconfitto della tua esile figura

Inaridirai nelle tue stesse lacrime
svuoterai ogni lamento
inneggerai forme e odori
e rinuncerai alle logiche perverse
di questa macchina dell'assoluto
Martire d'infedeltà
renderai suicidi i vitali ideali
che orneranno il gelido marmo
che ti farà da tomba









martedì 23 ottobre 2007

Vaghe anime vaganti (S)

Chiedi alla luna violata
invoca un nero desìo
squarcia la volta celeste
e annienta la verità dei gabbiani

Solo allora potrai cogliere
il lamento armonioso di un'anima sola

Un'anima vaga senza più odio né amore
senza la cura degli Avi
che ha cessato di lavare
con lacrime povere il suo perdono
che ha allontanato la carezza degli angeli
Un'anima stanca che urla dentro
e avvolge la propria pena
in bende usurate dal tempo

Un'anima nomade
che si culla nel fioco chiarore dela luna
matrigna amorevole
sulle onde di una calda nenia
che placa col suo ipnotico canto
il pretestuoso vento del Nord
cui sfugge Nulla al suo richiamo

Balla anima
in questo sinuoso teatro di danze gitane
esoteriche e passionali
Ritrova nel pianto la tua atavica essenza
esplora il domani
e lascia che per una volta
il Vento del Nord soffi invano

lunedì 7 maggio 2007

Follia, la rabbia del dolore (S)

Io sono la tua paura dolce bambina
io sono il tuo dolore
cullato dall'occhio del padrone
della mano che ti esplora
lavato nel corpo dal primo sangue
ma impresso nel ricordo per l'eterno

Io sono il tuo tramonto
giovane donna
rinchiuso fra le sbarre perverse
di una volontà coltivata dal rimorso

Svelami piano dove ti celi
piegata in quale angusto inferno
Mostrami
in quale oceano annegasti le tue lacrime
e per quale dio soffocasti il tuo respiro

Racconta se fu la bocca che ti amava
ad accendere la tua follia
mentre la mano della memoria
reclamando il suo stesso pianto
te ne offriva la via

La dolce menzogna (S)

Un urlo rabbioso rompe la notte.
Un corpo amorfo si contorce in scabrose pose, scorre acido nelle sue vene.
E' ripugnante, genera odio, riempe l'aria di fetori infernali.
Insinua, malevolo, parole ammalianti negli animi puri; odora la paura.
Una bimba dagli occhi di cristallo dorme supina sul Suo giaciglio.
Il Suo artiglio fende l'aria e si posa sulla sua pelle di luna. Un lamento armonioso accarezza il sorriso dell'Essere, gocce tenere di sangue corrono lungo curve di sogni inviolabili, ossa disegnate fremono di carne sotto tessuti di pelli morte.

Un urlo, che la natura rifiutò di alimentare, ruppe nella notte.
Zittì i silenzi di chi ancora non ebbe a parlare, agitò i sogni di chi nel sonno cercava la morte, incendiò le ali fameliche di chi un giorno avrebbe volato.
E sul sentiero dove le pietre hanno corpi e orecchie per sentire, un corvo sorvola sovrano. La natura è morta, pare schernire col suo gracchiare; l'uomo ha sentenziato, non riconosce padroni; anche i padroni sentenziano, non riconoscono uomini. E la menzogna propaga la sua storia attraverso gli istanti del tempo, battezza gli eventi e i popoli con parola mai pronunciata. Percuote l'udito di chi non vuol sentire parole mai nate, scioglie gli incanti delle bellezze e dell'amore e dona a ciascuno l'antitesi di ciò che mai sarà, di ciò che è per essere, ma che mai sarà.

L'urlo dell'uomo è sopito sotto inverni di nevi, piogge e tempeste e le primavere, con le loro aurore, non riscatteranno l'anima del primo Caino, venditore del proprio dolore, carnefice della sua propria essenza.